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che non si lascia discutere ma s’impone. Piacente sì; molto piacente, e per me, infine, voleva dire più che bella.

Non avevo però veduto la vera espressione del viso, la vera anima: gli occhi; e bisognava attendere per pronunciare un giudizio. Frattanto m’abbandonavo a un lavoro di ricostruzione simile a quello dei naturalisti. Dato quel collo, quel mento, quella bocca, quella carnagione, quella statura, quei capelli, quale avrebbe dovuto essere l’espressione del volto e, più specialmente, degli occhi? E una serie di visi ora accennati, ora sbozzati, ora disegnati con accuratezza e coloriti con amore, tremolava, brillava, si sbiadiva, spariva, ricominciava ad apparire innanzi a’ miei occhi fissati sulla banchina ghiaiata sottostante alla finestra.

La signora intanto, seduta presso il capezzale del letto su una seggiola impagliata, col capo appoggiato ai guanciali, e le mani ferme su le ginocchia, riposandosi dalla fatica del cavalcare, pensava Dio sa a che cosa!

Nel vagone rimanemmo soli. Speravo che quel velo importuno sarebbe stato alfine rimosso.... Niente affatto. Ella si adagiò in un canto quasi per cercar di dormire, ed io dovetti rassegnarmi a scambiare qualche parola con la cameriera, che non era nè giovane, nè bella, ma aveva una fisonomia intelligente, maliziosa, e prodigava l’eccellenza.

Cavai di tasca il portasigarette e domandai alla donna se la sua signora soffrisse pel fumo.

— Fumi pure — rispose la signora senza rimuoversi dalla sua positura. — Non mancherebbe altro