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però mordeva più vivo. La strada s’animava di carri carichi d’ortaggi, che dovevano trovarsi ai mercati dei paesetti vicini prima dello spuntare del sole. I carrettieri, sdraiati bocconi su la roba accatastata, fumavano le pipe, canticchiando, e scotevano di tanto in tanto le redini di corda fissate a un pomo della tavoletta di fianco.
Più in là prendemmo una scorciatoia a traverso i campi, per evitare di incontrar gente e per giungere a tempo alla piccola stazione di Bicocca.
Vi arrivammo che già spuntava il sole. Il treno avrebbe tardato appena un quarto d’ora a passare.
Spossata dal viaggio e più, forse, dalla commozione, la signora chiese un bicchier d’acqua. Il Capo stazione la invitò gentilmente a salire in camera di sua moglie; lassù avrebbe anche potuto riposarsi meglio che su le panche di legno della saletta di aspetto.
Le tenni dietro. Smaniavo di vedere in viso la persona che dovevo accompagnare non solamente per altri due lunghi giorni di viaggio, ma finchè il mio amico non avrebbe potuto venire presso di lei senza farsi scorgere.
Quando la moglie del Capostazione le presentò il bicchier d’acqua, la signora alzò il velo poco più in su delle labbra e bevve lentamente. Aveva un collo stupendo. La carnagione bruna traeva un po’ al pallido. Capelli nerissimi, viso ovale piuttosto piccolo, mento gentile, bocca come un anello, ma seria per naturale atteggiamento delle labbra; ecco quel che potei vedere con un’occhiata investigatrice, nell’intervallo di due secondi, tra la alzata e l’abbassata del velo. Avevo proprio indovinato!
Bella, nello stretto significato della parola, non mi parve; intendo di quella bellezza scintillante, sfolgorante,