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come accade nella vita e come soleva affermare con quel verso dei pochissimi tenuti a memoria da lui, ogni volta che Romero voleva filosofare intorno a qualche avvenimento degno di quella poetica citazione.

Egli aveva preparato a quel burlone impenitente di Rosada la sorpresa di un ricevimento coi fiocchi. Voleva fargli vedere e toccare con mano che lo studentuccio Romero non era arrivato ad essere direttore di pompe funebri; ma un signore libero, indipendente, che grazie alla sua discreta posizione, alla sua intelligenza, al suo tatto, già contava per qualcosa nella società.

Rosada giunse preciso, all’ora fissata.

— Ah! — fece, fermandosi su la soglia del salotto dove Romero lo invitava ad entrare.

Non sapeva spiegarsi quell’esposizione di calzoni, di corpetti, di cravatte, di stivaletti, di scarpe, di scarpine che ingombravano il canapè, le poltrone, le seggiole e i tavolinetti.

— Trovi un po’ di disordine, ma con te faccio a fidanza.

— Negozi in abiti belli e fatti?

— Potrei, davvero; ma, capisci, la mia posizione ora m’impone certi obblighi.... Capisci!

— Devi aver vinto una gran quaderna al lotto.

— Ho ricevuto un’eredità. Quando si parla dello zio di America!.... Ebbene ci sono gli zii anche in Italia, nascosti in qualche parte, per non farsi scovare. Se non che.....

— Un giorno li scova la morte..... e avrebbe dovuto scovarli anche prima.

— In tempo, caro Rosada; in tempo e basta.... Che conti?

— Ventidue paia di calzoni! Trenta corpetti!.... sessantacinque cravatte!