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Grave, solenne nell’aria della persona, negli atteggiamenti, nelle mosse, nell’intonazione della voce, nelle scarse parole che gli uscivano di bocca, sembrava che la natura lo avesse creato apposta per dare con la sua presenza, in certe circostanze, un prestigio, un’importanza a cerimonie e ad avvenimenti, che questi, per loro stessi, non avrebbero avuto.
Parecchi anni addietro, quando Giacomo Romero era un impiegatuccio della Prefettura, nessuno avrebbe potuto prevedere che, a via di lenta ma continua trasformazione, quel giovane biondastro, magro, giallognolo, sarebbe diventato, da modestissimo scrivano, l’uomo rappresentativo, come tutti lo qualificavano ora, l’uomo indispensabile nelle riunioni, nelle feste, nei lieti e tristi casi della vita cittadina.
Era irriconoscibile. Gli accadeva sovente di vedersi fermato da un vecchio amico, che lo aveva da un pezzo perduto di vista:
— Scusi.... Lei è...?
— Giacomo Romero, ai suoi ordini.
— Ah!.. Questo volevo dire! Sei tu!
Ma l’amico, che avrebbe voluto precipitarglisi addosso per abbracciarlo, si sentiva tenuto lontano
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