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La strada, dopo un buon tratto, faceva gomito.

— Che cos’è? — domandò la signora, arrestando il cavallo alla vista di un lume.

— È la barriera, — risposi; — non abbia paura. Sta bene in sella?

— Benissimo.

Urtai con le gambe del cavallo la grossa catena di ferro, che sbarrava il passo e feci suonare la campana dentro la baracca di legno. Una voce dall’interno ciangottò non so che parole; poi, allo scarso lume del lanternino attaccato al muro, vedemmo affacciare allo sportello dell’uscio la testa barbuta del custode, con lo sbadiglio alla bocca e gli occhi nuotanti nel sonno. Pagato il pedaggio, lo sportello si richiuse e la catena cadde a terra. Lo stradone tornò a risuonare del trotto dei nostri cavalli.

Il buio non mi aveva permesso di vedere in viso la fuggitiva; ne avevo però udito la voce, dolce, carezzevole.

— È bella? — pensavo.

E tentavo di figurarmela. Le davo occhi cerulei, limpidissimi, e capelli biondi. Perchè? Non lo sapevo neppur io; mi sembrava però che a quelle forme svelte ed eleganti s’addicessero capigliatura bionda e occhi cerulei.

Maritata? Vedova?

Non volevo entrarci. Paolo era sempre stato l’uomo dalle belle avventure. Questa volta mi sembrava l’avesse fatta un po’ grossa. Basta! Doveva pensarci lui.

Le ombre della notte cominciavano a diradarsi. Il vento era quasi cessato; il freddo del mattino