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qualcosa rimasto lì da lungo tempo a dormire; respiravo più liberamente; riconoscevo con sodisfazione che non ero già vecchio a trentasei anni.

L’immensa solitudine da cui ero circondato; la vallata che il vento riempiva dei suoi strani sibili; l’oscurità della notte senza luna, che trasformava l’aspetto degli alberi e dei luoghi in un insieme fantastico e pauroso, privo di contorni e di limite, tutto serviva a comporre uno sfondo, che si adattava benissimo alla natura della mia impresa ed alla singolare situazione dell’animo mio.

Aspettavo, ripeto, da un’ora. Nel villino e nell’orto non fiatava anima viva.

— Verrà? Non verrà? Che qualche impedimento abbia sconvolto i nostri piani? Ch’ella si sia pentita all’ultimo momento?

Appoggiato allo stipite della porticina dell’orto, ruminavo da un pezzo queste domande, quando udii girar la chiave nella toppa.

Mi tirai da parte, trattenendo il respiro.

La porta si aperse lentamente; una testa si affacciò indistinta nell’ombra e stette un istante ad ascoltare; poi ecco sul legno i tre colpi convenuti.

— Son qua da un’ora — dissi a bassa voce, facendomi innanzi.

— Siamo già pronte — rispose una voce di donna. — Vado a chiamar la signora.

— Brava! Si spicci.

Le parole mi facevano nodo alla gola. Se la persona che doveva da lì a poco fuggire con me fosse stata mia amante, non avrei potuto essere più agitato.

Trascorsero dieci minuti, che mi parvero un secolo. Non vedevo l’ora di trovarmi lontano un buon paio di miglia e m’impazientivo d’ogni intoppo.

Avevo spinto l’usciolino lasciato aperto, avevo