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— Vai dal tuo amante? — le dissi sforzandomi di mostrarmi indifferente. Spalancò gli occhi, impallidì. Avevo pronunciato quelle parole con lo stesso tono con cui avrei potuto domandarle: — Vai a messa? — Era domenica.

— Ernesto! Ernesto! — balbettò.

— Guarda! — proseguii prendendo in mano il revolver messo anticipatamente in mostra sul tavolino. — Potrei ammazzarti come una cagna arrabbiata....

— Ernesto! Ernesto!

Indietreggiò coprendosi il viso con le braccia, atterrita.

— Non aver paura! — soggiunsi. — Ormai, quel che è stato è stato. Non me n’importa niente. Tu non sei più mia moglie: sei l’amante di Tito Volpi; non dovrai esser altro da oggi in poi.

— Ernesto! Ernesto!... Perdonami!.. Sono stata pazza!....

— Peggio: ingrata, infame!... Ma, ormai!

Si era buttata ginocchioni, supplicante a mani giunte.

Io stesso mi meravigliavo della mia tranquillità. Avevo ruminato, una settimana, il castigo che volevo infliggere a lei e al suo amante e parlavo da giudice severo quasi si trattasse di un altro.

— Hai scelto tra me e lui: tientelo! Ma dovrà essere per sempre! Lo dirò anche a lui: — Per sempre! — Vi sorveglierò come un poliziotto. Andrai a trovarlo ogni giorno, alla stessa ora — so la via, il numero — alla solita ora! Ti ho seguita... Ho visto... Non ti scusare.... Non ti scusare!... Dovrà essere per sempre! Per sempre! Il giorno che credereste di finirla... allora! Peggio per tutti e due! Non mi sfuggireste! Allora!... Vai dunque. Sei attesa. Non tardare.... Come se io non sapessi niente.... E dillo prima