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Quella sera erano andati a rannicchiarsi in un angolo del caffè Gnocchi, presso il teatro Dal Verme, caffè mezzo deserto. E Luigia aveva parlato, per ore, squisitamente, con abilità di narratrice che lo stupiva, facendogli sfilare sotto gli occhi i ricordi della lieta fanciullezza e della triste gioventù, passata fra i riflessi verdastri della Laguna, quando sua madre viveva ancora....

— Bella mia madre! Non le somiglio affatto.

E avea continuato, appoggiando l’espressiva testina bruna sul rosso della spalliera di velluto, accostandosi a Renato con più intimità, quando venne il momento di parlare di.... quell’altro.

— Fuggita con lui dalla casa della zia, andammo a Padova, poi a Milano.... Sin dai primi mesi, egli fu costretto a lasciarmi sola, per via degli affari. Prima mi scriveva spesso; poi, a lunghi intervalli; poi, non mi scriveva più. Arrivava e partiva all’improvviso, facendomi anche soffrire.... Mi bastava così poco, che anche di quel nulla sarei vissuta contenta. Una sera, in un ballo, apersi gli occhi! C’era un’altra di mezzo.... Il sangue mi diè un tuffo. Mi sentii impazzire, e le allungai uno schiaffo, in mezzo al ballo, all’improvviso. Fui eccessiva, sì. Ma, dopo, non mi umiliai? Non gli chiesi perdono? Gli volevo bene a quell’uomo.... Gli volevo bene davvero!

Eran tornati a casa silenziosi, affrettando il passo.

— Forse ho fatto male, raccontandole la mia brutta storia.

— Anzi, te ne sono gratissimo, proprio!

— Non lo dice per cortesia?

E per la prima volta, nel separarsi, gli tese le labbra col più strano dei sorrisi di quel suo stranissimo viso di bella bruttina. Quel viso pareva livido sotto il pallore.