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con questa gran piuma, mi dà un’aria bizzarra.... Sciocca! Lo dico da me!
E scoppiò a ridere voltando le spalle, con una smorfietta, allo specchio davanti a cui si era fermata per provarsi il cappello.
— Capelli pochi e corti. Che disperazione! E così ribelli! Non c’è pettine che riesca a domarli. Già, mi ci confondo poco. Ho ben altro da fare!... Che delizia questa camera così grande e così piena di luce! La mia è un bugigattolo da aggirarvisi appena. Mi è cara però; è piena di ricordi!
— Dolci?...
— Tristissimi. Quante lagrime, quante sofferenze, quando riarsa e stroncata dalla febbre dovevo lavorare tutto il giorno, per settimane, per mesi, rompendomi la schiena, sostentandomi di solo pane!... Non voglio neppur rammentarlo!...
— E ora?
— Ora? Vivacchio, lavorando sempre, orgogliosa di non essermi mai avvilita. Piuttosto un tonfo nel Naviglio. C’è mancato poco, un mese fa! Qualche volta ci ripenso sul serio. Infine!...
Quegli occhioni neri prendevano un’espressione indefinibile, allorchè ella parlava di morire. Ne ragionava tranquillamente, senza affettazione, come di cosa da dover accadere un giorno a l’altro, quando si è tanto disgraziati a questo mondo, quando non si ha neppure un cane che ci voglia bene o che si sia legato da un legame qualunque!
Sua madre era morta. Suo padre.... Un giorno (non poteva dimenticarlo, aveva appena sette anni) un’amica della mamma che la conduceva a spasso, le aveva additato un signore alto, bruno, bell’uomo, che entrava in un caffè. — Va’, digli: Babbo, dammi un bacio! — Ed era entrata in quel caffè e s’era acco-