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luce, parevano d’argento, e non si voltava per vedere se Carbonella la seguisse.

— Questa è proprio la Fortuna — ripeteva dentro di sè la ragazza.

Erano entrati in una camera con un letto col baldacchino. Coperta bianchissima, lenzuola e guanciali che abbagliavano. Doveva dormire là? Ah, povera lei! Avrebbe insudiciato ogni cosa.

— Tu qui; io dormirò di là, nella camera accanto.

— Ah, no, signora! Voi non sapete! Mi hanno chiamato Carbonella, anche perchè ho la disgrazia di macchiar di nero tutto quel che tocco! Dormirò sullo strame della prima stanza!... Siete voi la Fortuna, buona signora? —

Non potè più trattenersi dal domandarglielo.

— Dormi, e non curarti d’altro! —

E la lasciò sola, sbigottita.

La mattina dopo, svegliandosi, Carbonella si trovò distesa su lo strame della stanza affumicata, col suo fagottino per guanciale. Aveva sognato? Non arrivava a persuadersene.