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Mentre essi stavano a osservarlo, ecco un altro sibilo meno acuto e uno strepito di ali meno forte.

Alzarono gli occhi, e compresero che doveva essere la draghessa, quest’altro mostro uguale al primo, ma di dimensioni assai minori.

Il Reuccio tese celermente l’arco e lanciò la freccia, che colpi la draghessa alla testa e la fece cascar giù morta sul corpo del suo compagno.

— Oh, qui ci dev’essere il nido.

E non aveva il Reuccio ancora finito di pronunziare queste parole, che dallo spacco d’una roccia si affacciavano quattro piccole teste di draghi con le bocche spalancate e le linguette vibranti.

Erano nati il giorno innanzi, perché sembrava che i sottili colli reggessero male il peso delle teste, e gli occhi non erano ancora aperti.

— Dobbiamo prenderli vivi! Dobbiamo prenderli vivi!

Il Reuccio, in preda a immensa gioia, tendeva le braccia, agitava le mani, quasi potesse giungere a quell’altezza