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Or accadde che un giorno si trovò a passare nel bosco il Re con due persone del suo séguito. Avevano smarrito la strada. Vedendo che i carbonai stavano per dar fuoco alla catasta, scese da cavallo e volle assistere all’operazione.

Il Re era triste, cupo e non diceva una parola. Non dicevano una parola neppure quelli del séguito, mentre il carbonaio appiccava il foco.

Marito e moglie avevano capito che quei signori, vestiti così bene e con quei bei cavalli, dovevano essere personaggi di gran conto; la donna per ciò si tenera in disparte e tratteneva a sé Saltacavalla per impedirgli di farne qualcuna delle sue.

A un tratto, Saltacavalla scappa e va a piantarsi a gambe larghe, con le braccia dietro la schiena, in faccia al Re, squadrandolo da capo a piedi:

— Tu non sei carbonaio, è vero? Che cos’hai con quel viso scuro?

Il Re stese una mano per fargli una carezza.

Saltacavalla allungò il muso, cacciò fuori la lingua, sgranò tanto di occhi, e torse il collo a destra e a sinistra.

Un lieve sorriso spuntò su le labbra del Re, ma disparve subito.

— Me lo dài quel bastone lustro che porti al fianco?

Intendeva di dire la spada. Saltacavalla non aveva mai visto spade, e non sapeva come si chiamassero, né a che uso servissero. Il Re tirò fuori del fodero la spada e gliela mostrò per fargli capire che non era un bastone.

— È un coltello? Troppo lungo per affettare il pane! Non serve. Guarda il mio: