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saltacavalla | 267 |
— Tieni, è la colazione. Sta’ là cheto, almeno mangiando.
Saltacavalla prendeva la fetta di pane e il companatico, un pezzetto di cacio o una mezza cipolla, e cominciava a masticare di mala voglia, quasi non avesse appetito. Tutt’a un tratto, dava un balzo, da quel Saltacavalla che era, e in un attimo eccolo in cima a una quercia, a dondolarsi su un ramo così sottile, che pareva gli si dovesse spezzar sotto.
— Quassù, sì, si mangia bene! —
E faceva bocconi grossi, con tanti forti scoppiettii delle labbra, per mostrare che pappava di gusto.
— Scendi giù, ti può accadere una disgrazia!
— Intanto schiaccio un sonnellino! —
Si stendeva tra i rami, incrociando le gambe, tenendosi aggrappato con le mani, e si addormentava. E la povera donna stava a vegliarlo a piè dell’albero, atterrita. Alla discesa, lo prendeva per un braccino, voleva sgridarlo, ma Saltacavalla le faceva una strana smorfia di scusa e la sgridata si mutava in uno scoppio di risa.