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stanchezza, chinava la testa su una spalla e s’addormentava.
Il giardiniere era contento che sua figlia fosse servita bene; ma si sentiva stringere il cuore udendo sin di fondo al giardino quella nenia lamentosa, della quale non aveva potuto mai capire le parole.
— Ascoltate bene voi — si raccomandava alla vecchia, quando essa scendeva giù a prendere il quotidiano mazzo di fiori.
— Prima di mettersi a cantare mi manda sempre via.
— E di questi fiori che ve ne fate?
— Non deve importarvene.
Il giardiniere era incuriosito. Appena avuto il mazzo, la vecchia diceva:
— Vado e torno subito.
Infatti andava e tornava subito, senza che a lui fosse riuscito di vedere dove andasse, né di dove tornasse, quantunque più volte avesse tentato di spiarla. Appena richiuso dietro a sé il cancello, la vecchia seguiva il muro di cinta del giardino, svoltava il canto e spariva.
Da principio il giardiniere non ci aveva badato; ma dopo alcuni mesi era entrato in sospetto di qualche brutto mistero.
E il sospetto divenne certezza il giorno che la cèchina non cantò più.
— Perché non canti più, figliuola mia?
— Non posso cantare, babbo. Se mi provo, sento qualcosa alla gola, come una mano che mi stringa e mi voglia soffocare.
Il giardiniere che non aveva mai posto attenzione all’aspetto della vecchia, quel giorno la guardò bene.
— Sembra una Strega! — disse tra sé e sé.
Era tutta grinze, con i capelli bianchi tutti arruffati, gli occhi orlati di rosso sotto folte e ispide sopracciglia, il naso adunco, la bocca sdentata e le mani scarne e nodose. Proprio una Strega! Come non se n’era accorto prima? E pensò di licenziarla per vedere se, andata via lei, la cèchina potesse riprendere a cantare. Così muta gli sembrava più triste di quando si sfogava con le nenie che gli stringevano il cuore.
— Sentite, comare: non ho più bisogno di voi. Eccovi