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188 luigi capuana


venivano le Fate a ballare e a divertirsi. In alto, fra i rami degli alberi, s’intravedeva un filo di luna.

Cavò di tasca il bambino ancora addormentato, lo posò su l’erba nel mezzo della radura, e si nascose dietro una siepe per veder quel che sarebbe accaduto.

Ed ecco, alla mezzanotte in punto, un lumicino tra gli alberi, e poi, di qua, di là, quasi sbucassero dal tronchi, le Fate, vestite di abiti fosforescenti, coronate di fiori freschi, che si abbandonano a un ballo vorticoso, tenendosi per mano, e così agili, così leggère, che pareva non toccassero il suolo coi piedi calzati di sandali di oro.

La povera madre tratteneva il respiro, atterrita che, nella furia del ballo, le Fate calpestassero il bambino, dormente su l’erba. Esse intanto continuavano più allegramente e più furiosamente la ronda, senza accorgersi di lui. Tutt’a un tratto, si fermarono, e stettero in orecchio:

— Chi ci vede e chi ci sente,
Sorda e cèca immantinente!
Chi ci sente e chi ci vede,
Cionca a un braccio e zoppa a un piede!