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18 | SPERA DI SOLE. |
— Fornaie, fatemi la gentilezza di prestarmi lo staccio; nel mio c’è uno strappo. —
Tizzoncino apriva l’uscio e porgeva lo staccio.
— Come! Siete allo scuro? Mentre picchiavo, c’era lume.
— Uh! vi sarà parso. —
— Fornaie, per cortesia, prestatemi un ago. Mi si son rotti tutti, e debbo finire un lavoro. —
Tizzoncino apriva l'uscio e porgeva l'ago.
— Come! Siete allo scuro? Mentre picchiavo, c’era lume.
— Uh! vi sarà parso. —
La cosa era arrivata anche all'orecchio del Reuccio, che aveva già sedici anni. Il Reuccio era un gran superbo. Quando incontrava per le scale Tizzoncino, coll’asse sulla testa o colla cesta sulle spalle, si voltava in là per non vederla. Gli facea schifo. E una volta le sputò addosso.
Tizzoncino quel giorno tornò a casa piangendo.
— Che cosa è stato, figliuola mia?
— Il Reuccio mi ha sputato addosso.
— Sia fatta la volontà di Dio! Il Reuccio è padrone. —
Le vicine gongolavano:
— Il Reuccio gli avea sputato addosso; le stava bene a Spera di sole! —