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avesser mai tirato il collo e non lo avessero mai pelato e abbrustolito.
Il cuoco corse dalla Regina:
— Maestà, il galletto è risuscitato! —
La cosa era troppo strana, e il galletto diventò prezioso. Tutti lo guardavano con rispetto; qualcuno anche con un po’ di paura. Ed esso se n’abusava. A tavola beccava peggio di prima, nei piatti del Re e della Regina; razzolava, come se nulla fosse, nei piatti dei ministri che non osavano dirgli sciò per rispetto del Re; s’appollaiava dovunque, insudiciava perfino il soglio reale e lo riempiva di pollìna. E poi, notte e giorno: chicchirichì! chicchirichì! Rintronava gli orecchi. E il popolo imprecava a denti stretti:
— Accidempoli al galletto e a chi lo fa allevare! —
Un giorno Sua Maestà dovea scrivere a un altro Re. Prese carta, penna e calamaio, fece la lettera e la lasciò sul tavolino ad asciugare. Va il galletto e gliela insudicia, proprio dov’era la firma.
— Sporco galletto! Per questa volta passi. Un’altra volta te la farò vedere io! —
Il Re scrisse di bel nuovo la lettera, e la lasciò sul tavolino ad asciugare. Va il galletto, e gliela insudicia, proprio dov’era la firma.