Pagina:Capella - L'anthropologia, 1533.djvu/82

DELL'ANTHROPOLOGIA

bevendo, hora in mille altre cose trovate ove spender gli ociosi tempi senza noia; à me non rimane altro, che ogn'hora più ferventemente amare. Non per tanto, disse messe Lancino, à me pare per la ispirienza cotal disputattione difficile da diffinire: vedendo infinito il numero di coloro, che indarno dietro à quelle s'affaticano: et io l'ho gia non una volta isperimentato. Veramente la isperienza, disse il Poeta, più può che la ragione: ma ben istimo coloro felicissimi, à cui è licito godere del loro amore, senza timore di cosa che gli sturbi; et quelle donne à mio aviso sono da più, che vincendo nell'altre cose, non consentino in amore esser vinte: nel quale cedere, sopra tutto è sconvenevolissimo. Oltre à ciò si ha da vedere della dottrina; la quale alcuni invidiosi hanno cercato con riso et scherni biasimare; infingendo si nuove cose della sapienza feminile, quasi volessono darne à credere, tanto la femine esser più bestiale et matta, quanto sia più savia et ben parlante istimata: persuadendosi perché non vadano à Pavia, ò à Bologna à studiare leggi, che nulla sappiano; et da nulla sia il loro ingegno et consiglio: ma in cio non cade la disputatione che quantunche non si trammettano in questi studi, non si toglie, quando vi spendessono il tempo, come fanno gli huomini, che tanto, et più atte non fossero alla dottrina: la qual cosa assai manfestamente si vide ne gli antichi tempi di colei, che per lo tardo ritorno del giovane Phaone fu sospinta à fiaccarsi il collo dal sasso Leucadio. la quale non altrimenti li colti et limati suoi versi meritò il primo nome di poetessa, come gia tra poeti meritasse Homero. Leggesi