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LIB. I. 11

et quelli che sprezzano la robba, et che per transcuragine, ò per altra cagione la gettano, sono dal piu delle genti sciocchi istimati. Non altrimenti sarete voi Musicola riputato, disse messer Lancino, con cotesto vostro vestire alla philosophica, dispregiatore delle ricchezze, et del mondo. Anzi iole stimo, rispose egli, ma in due cose la Fortuna incolpo: che non l'ha à me per heredità concedute, ne formata la volontà per guadagnarl; nel resto ho perciò da lodarmene; che m'ha fatto sano et robusto (come vedete) ch'io tiro il palo, giuoco alla lotta, et alla palla; et gli altri essercitii della persona mi sono di pochissima fatica; la qual cosa à gratia singolare mi stimo. Percioch'io veggio tanti gottosi, tanti con doglie di fianchi et con si diverse infermità, che niuna cosa credo esser maggior bene della sanità; la quale avegna che appò gli sani non paia di molta stima, nondimeno da chi giace infermo, sopra ogn'altra è disiderata. Et nel vero che piu grato all'huomo esser deè, che potere ad ogni suo volere andare, correre, saltare, cavalcare, da se stesso vestirsi, et spogliarsi, et pigliare que cibi che piu gli aggradano, senza temere che noia gli facciano? Et con tal prosperità trappassare infino alla età piu grave; la quale se per aventura viene col medesimo agio; niuna maggior contentezza gli Dei all'huomo concedono; et poco vagliono al ricco le facultà, dove la sanità manchi, et con tanta cura è stata ritruovata l'arte della medicina; et come cosa degnissima riputata inventione degli Dei; che piu quasi non si stima altra dottrina: et oso dire, che non meno alle volte il render la sanità à gl'infermi aggrada, che à morti la vita.


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