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ra oltra che spesse volte sono dannose à chi le possiede. Quale altra cosa spinse Cyro à guerreggiar contra Croeso Re di Lydia; che la cupidità di rapire gl'immensi thesori che possedeva? quando imposto nell'ardente rogo si ricordò del savio detto di Solone, che niun mortale avanti l'ultimo giorno havea da chiamarsi felice. Che mosse Crasso affar guerra al feroce Partho, che infin allhora non havea sentito la potenza de Romani; se non il disiderio d'havere immense facultà? non istimando l'huomo esser ricco, che non potesse delle sue rendite pascere uno essercito: et vedete à qual fine le ricchezze il condussono? che essendo egli perso da Parthi, con mille scorni lo fecero vituperosamente morire. Potrei infiniti altri essempi d'antichi et di moderni raccontare; che per tale cagione sono stati de suo regni cacciati: tanti che ogni giorno per le vie, per le case, dentro i propii letti, et da nemici, et da quelli, che più stimavano fedeli sono stati uccisi: tanti che per rapire non un gran podere, ma una picciola quantità di moneta, si mettono contra ogni divina et humana ragione à rubbare, et ammazzare huomini; tal che huomai la sola povertà da invidia et da forza è sicura. La qual cosa bene intesero quelli antichi Romani; à quali la giusta povertà fu lungo tempo honesto patrimonio. La onde Curio che vinse Pyrrho, et gli Sanniti, ritrovato da gli ambasciadori loro, che volgeva rape nel fuoco; rifiutò l'immenso peso dell'oro, che gli offersero; dicendo voler più tosto commandare à quei, che l'oro possedevano, che possederlo. Et fabritio non sofferse pigliar cosa alcuna, quando da Romani à Pyirrho fu man-