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dei cereali. 639

che trascorre dall’epoca in cui si può lavorare la terra, fino a quando la pianta si trova nelle stesse condizioni di vegetazione come se fosse stata seminata in autunno. Inoltre, nei climi temperati importa avere un presto raccolto dei primi prodotti, onde rendasi probabile una seconda coltivazione di qualche pianta a rapida vegetazione, qual’è la fraina, il miglio, il panico, i fagiuoli, il melgone detto quarantino. E questo secondo prodotto sarebbe impossibile quando il frumento si seminasse in primavera, perchè la sua maturanza, che avviene circa agli ultimi di giugno, non sarebbe possibile che verso la metà di luglio, ed anche più tardi. Questo ritardo di pochi giorni è assai sensibile se vuolsi aver riguardo alla somma di temperatura che si ha in quella stagione, e che sarebbe sottratta alla seconda coltivazione. Un altro riguardo poi non poco riflessibile è quello che quanto più un cereale deve star nel campo durante la stagione estiva, più facilmente può essere danneggiato dalle vicende atmosferiche, e specialmente dalla grandine.

Vi ho detto che i cereali ci pervennero da climi più caldi, e la loro costituzione ce ne può fornire una prova. La parte erbacea tenera, e lo stelo vuoto, come sono in generale le piante monocotiledoni, indicano che temono il freddo, e la ricchezza d’amido c’indica il bisogno di molto calore. Egli è perciò che generalmente i cereali presso di noi tendono a degenerare, impicciolendo i semi e diminuendo la proporzionale quantità di amido, d’onde la necessità di rinnovare di quando in quando le sementi, procurandocele da climi alquanto più caldi, ma non di troppo per non incorrere negli errori che vi ho accennati al § 158.

L’agricoltura poi, che sin dai tempi più antichi riconobbe nei cereali il vitto naturale dell’uomo, dovrebbe averne maggiormente a cuore la coltivazione, riguardo al prodotto d’una maggior quantità di essi sopra una data superficie di terreno, poichè se l’abbondanza dei cereali aumenterà il reddito delle terre, aumenterà eziandio la popolazione, e con essa ogni sorta d’industria agricola e manifatturiera. Il lavoratore troverà pane a buon patto, e l’industria troverà uno smercio più facile ai suoi prodotti. In agricoltura però deve sempre esservi un certo rapporto fra la quantità dei vari prodotti, se non vuolsi avere per risultato la fame, o la barbarie. Che avverrebbe nella società se, visto il maggior prodotto d’un prato in confronto di quello d’un campo di frumento d’egual superficie,