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312 | selvicoltura. |
taneo, non ama i suoi figli, e quel governo che di essi non si cura, desidera il deperimento irrimediabile della nazione.
Mi si dirà forse che il buono o cattivo stato delle foreste è strettamente legato colla vaga pastorizia, e coi difetti che seco traggono gli estesi possedimenti comunali. Ma appunto perciò spetta al governo il ristringere o togliere il vago pascolo, l’obbligare i comuni a livellare o meglio a vendere le loro proprietà. Corre un proverbio, sventuratamente vero, che dice: Cosa di comune, cosa di nessuno. Dappertutto ove si passò alla vendita dei fondi comunali crebbe il prodotto e la ricchezza degli abitanti; quelle persone che una volta emigravano in altro paese, ora trovano lavoro nel proprio, ed un utile più sensibile; crebbe inoltre la moralità, dovendo ciascuno imparare a rispettare l’altrui proprietà, affinchè sia rispettata anche la propria. Quei pastori che una volta non avevano che un gramo pascolo per pochi mesi, ora possono mantenere un maggior numero di bestiame, trovando, nelle proprietà riducibili a prato, quadruplicato il prodotto dell’erba; e quantunque debbano comperare il mantenimento, pure il guadagno aumentò coll’aumentare del bestiame. Alcune valli triplicarono in pochi anni le loro bestie grosse, e diminuirono il numero delle pecore e delle capre, che si trovarono poco utili, anzi rovinose a tutte le coltivazioni; laddove nel grosso bestiame si rinvenne un maggior utile giornaliero, ed un utile secondario nella maggior massa di concime che se ne ritrasse.
Intanto dove sonvi ancora dei boschi comunali, essi vengono mal tagliati e quasi mai emendati o ripristinati dopo un taglio completo. Le giovani piante che vi crescono sono rose o calpestate dalle capre, dalle pecore o dal bestiame più grosso; ed il pastore per riscaldarsi consuma una gran quantità di legna per accendere un fuoco, che spesso, impassibile, vede appiccarsi a qualche pianta o ramo secco e poi estendersi a consumare in un giorno il lavoro di qualche secolo. Il privato poi se non lascia consumare dal fuoco o danneggiare dal bestiame il proprio bosco, lo taglia a capriccio, o lo svelle riducendo il terreno a gramo pascolo od a cereali che non possono maturare. Tolte in un modo o nell’altro le foreste alle cime od al dorso degli alti monti, impossibile od assai difficile ne riesce il successivo rimboscamento: che anzi le pioggie ed il vento svelgono e trascinano in basso quelle piante e quella terra che il tempo, per mezzo del bo-