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8 | prefazione. |
ste al fabbro-ferrajo l’arte sua, senza parlargli del ferro e delle sue proprietà, senza parlargli del forno, del martello, dell’incudine, ecc.? Forse che questi vocaboli non sono pur essi tecnici e convenzionali? Forse che le arti più faticose non esigono come le altre il loro vocabolario? O crediam forse di parlare ad automi? No, è impossibile scrivere popolarmente come la intendono costoro; è impossibile ommettere certe parole e frasi che accorciando il discorso, rendono più spedito e chiaro l’esposto. Ponete che nell’insegnare un’arte, nella quale si faccia continuo uso del martello, della tanaglia, dello scalpello, ecc., invece di servirci di queste voci convenzionali, s’avessero ogni volta a definire e descrivere così fatti strumenti; non la vi parrebbe questa una faccenda ben lunga e ridicola? E nel caso nostro, non si possono forse paragonare a que’ vocaboli i nomi tecnici e le espressioni scientifiche? Qual differenza passa fra loro sì nell’insegnarli che nell’impararli? nessuna certamente. Dunque bisogna ben accomodarvisi, e smettere l’opinione che per essere popolare abbisogni esser lungo ed inintelligibile.
Non crediate finalmente che tutto quanto sto per dirvi sia tutta roba mia. No, anch’io mi son giovato molto d’altri scritti, e principalmente di quelli del Liebig, del Boussingault, del Malaguti, del Jussieu, del Dal-Pozzo, del Re, del Ferrari e d’altri molti; ma vi assicuro che da tutta questa brava gente accettai sol quanto mi parve accordarsi colla mia opinione e colla pratica. Per il che questo libro non può dirsi nè tutto fatto al tavolo, come tant’altri, nè fatto tutto in campagna dietro una cieca pratica. In esso v’è l’applicazione della teoria alla pratica, v’è la prova vicendevole dell’una coll’altra, v’è insomma la convinzione che oggidì l’Agricoltura vuol essere scientificamente insegnata e praticata.