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orologio a pendolo che annunziava le ore e le mezze ore con un sospiro rauco, lunghissimo, tenue e poi gradatamente più intenso, più ansioso; e solo quando il sospiro l’aveva gonfiato che non ne poteva proprio più, si decideva ad approdare al suono grave, cupo de’ suoi lenti rintocchi.

In quell’ambiente s’aveva l’impressione che il tempo si fermasse, si veniva colpiti dallo sbalordimento del nulla; le più vivide fantasticherie si dileguavano senza lasciar traccia.

La zia, che aveva la testa fasciata da una pezzuola bianca (l’aveva veramente), si sforzava a mantener desta la conversazione, facendo finta di non star male, di non essere offesa, d’essere anzi veramente allegra, ma in realtà facendo finta di far finta e con la speranza che tutti si sarebbero accorti del gran sacrificarsi che faceva.

Gli uomini cominciarono a discorrere con maggiore affiatamento, vero o falso che fosse, elevando il tono delle voci, accalorandosi anche su certi argomenti che a priori sapevano innocenti e innocui, lontani da ciò che dianzi li aveva turbati e divisi.

E allora, nella lunga snervante attesa fra una portata e l’altra, mentre il dolce si faceva assai attendere, egli sentì che gli veniva sonno.

Perché gli occhi non gli si chiudessero li tenne sbarrati. Lo sguardo fisso gli si posò sul mazzo di fiori che adornava la tavola. Anche quelli gli mettevano adosso una gran malinconia, coi loro gambi di fil di ferro e la carta d’argento, men-