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la discussione inevitabilmente degenerava in alterco, tanto che gli altri parenti, quando venivan di sabato, chiedevano entrando: «È già cominciata la baruffa?»
I ragazzi se ne disinteressavano perché quelle gite ufficiali, accanto a pochi vantaggi, presentavano più d’un inconveniente.
È vero che la lauta colazione in qualche osteria di campagna veniva molto opportuna; e sopratutto era bello tornare in ferrovia.
(La ferrovia è una gran cosa: è bella, è lucente, è forte, e uno quando vi sale si sente crescere, diventa più importante. Essere in ferrovia e pensare a quelli che vanno a piedi è come indossare un’uniforme sfavillante e passeggiare in mezzo ai borghesi; più ancora: come intendere una lingua che altri non sanno, come conoscere ed amare un grande autore che altri ignorano).
Ma purtroppo non si stava in ferrovia che mezz’ora o al massimo tre quarti. Ben altri e più lunghi viaggi sognavano!
Gli svantaggi invece erano grandi. Bisognava comportarsi da buoni ragazzi, ascoltare discorsi noiosi, non arrampicarsi sugli alberi, non andare nei pericoli. Non si poteva parlare dei propri ideali, non si poteva lasciar correre libera la fantasia oltre i confini dell’ordine, delle idee correnti, dell’ortodossia politica, religiosa, morale. Infine mancava la libertà, questo bene supremo dell’uomo: mancava la poesia!
— Taci, — disse Renato; — mi pare che ci siamo. Tu senti qualcosa?