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— Non mi piacciono i liquori.

— Perché sei un vile ornitorinco!

— T’inganni. Io sono il grizzly.

Neanche a Gino piaceva l’alcool, ma voleva sapere che cos’è l’ebbrezza, specie dacché avea saputo che Edgar Allan Poe, uno dei suoi autori preferiti, era morto di delirium tremens.

S’arrampicò fino all’ultima scansìa, dov’erano le bottiglie più preziose e ne tolse una finissima, impagliata, dalla forma quadra, lunga ed esile, di quelle che il babbo sturava con gran cura, con un certo risolino, verso la fine del pranzo di Pasqua o di Natale, mentre la gran tavolata degli zii e dei parenti con le facce lustre e l’acquolina in bocca, attendevano con un’ansia assai visibile, sebben mascherata da un sorriso posticcio.

Scese e fece l’atto di volerla tracannare.

— Un di questi giorni faremo un’orgia e canteremo:

Uns ist ganz kannibalisch wohl
Als wie fuenfhundert Säuen!1

Era una sfida a tutti i parenti, era una bravata di chi sentiva di potersi disciogliere dalle pastoie d’una disciplina ingiusta e stupida.

— Abbasso Fillinich!

— Abbasso Kramer!

— Abbasso Perotti!

— Abbasso Foffo!

  1. Noi stiam cannibalmente bene
    Al par di cinquecento scrofe!

    Goethe, Faust, I — Taverna d’Auerbach.