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— Meraviglioso! — disse Renato che conosceva la formola.

Così parlando progettando e ridendo giunsero alla casa di Gino.

Salì anche Renato. Era un sabato e la mamma gli aveva permesso di dormire in casa dello zio, perché dovevano alzarsi la mattina presto per fare una gita sui monti.

La camera di Gino metteva sul corridoio, e sui cristalli appannati dell’uscio egli aveva scritto con certi acidi la parola STUDIO.

Il suo babbo in quell’occasione gli aveva spiegato per analogia: lucus a non lucendo e canis a non canendo, concludendo con una lode per quella scritta che evidentemente significava: luogo dove non si studia.

Entrarono.

— Sai, — disse piano Renato — stamane abbiamo avuto una riunione.

— Chi?

— Io, Peppino Ferrari, Giorgio Androvich, Ettore Cantoni e gli altri delle grotte.

— Ah, ci andate sempre?

— Ogni mercoledì. Ce n’è ancora tante da esplorare e delle più belle.

— Andateci pure!

Gli seccava un poco quel club sorto fra compagni di scuola di Renato, ch’egli non conosceva.

— Era per l’elezione del presidente: sono stato eletto io. Ma — aggiunse ancora più piano — le grotte più belle son lontane e bisognerebbe di-