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— Forza: chi va a sbrogliar quel par rocchetto?

Nessuno. Con quest’infuriar dei marosi, lassù sugli ultimi pennoni si descrivon fulmineamente nello spazio traiettorie enormi.

Egli allora, il comandante, corre vola fino alla più alta cima, affronta impavido il rischio tremendo, scioglie la vela, e scivola rapido giù sulla tolda.

I suoi uomini sono umiliati e si votano in cuor loro alla più cieca devozione per quel capo forte e buono.

Ora la nave fila a tutta forza.

Pochi istanti ancora. Un urto terribile; e si affronta l’abbordaggio.

La piccola ciurma si slancia furibonda a lottar corpo a corpo contro i cento uomini nemici.

L’accanimento dei combattenti è spaventevole.

— Avanti, o miei prodi! Qui si vince o si muore! — grida egli ai suoi, che son davvero ammirevoli.

Molti caduti già conta l’avversario. Ma, ahimè, tutto è inutile: troppo ìmpari è la lotta ed egli si riduce, circondato dal suo pugno d’eroi, al lato opposto della gran nave.

Arrendersi? Chi parla d’arrendersi? Ah ah!

— Coraggio e avanti!

Una bianca benda maculata di rosso gli fascia il capo, ma con la spada sguainata e la rivoltella nella sinistra egli combatte sempre per dieci.

Venti, trenta nemici son morti; ma purtroppo anche due dei suoi son caduti feriti. E a uno