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la mischia era feroce ed improvvisa, troppo rabbiosa e rapida per dar tempo di concertare un piano che non fosse quello puro e semplice di sviluppare in pugni nel minor tempo possibile tutta l’energia che avevano in corpo.
La battaglia finì repentinamente, senza transizione, così com’era cominciata.
S’allontanarono i nemici per il viale di destra brontolando in tono minore nuove minacce, e l’italiano, dopo lanciato un ultimo grido beffardo, s’allontanò per il viale opposto, senza salutare i commilitoni, già tutto assorto in qualche suo intimo pensiero.
Gino e Renato si guardarono sorridendo e tornarono al sedile di prima.
Gino raschiava i nodi d’un rametto flessuoso per farsi uno sferzino.
Renato masticava le foglie d’un sempreverde, assaporandone l’acre amarognolo, e mentre guardava assorto la sabbia del viale che riverberava i vividi faggi del sole, col piede andava tracciando tratto tratto qualche segno, oppur muoveva un poco un sassolino in qua e in là.
Quel metro di terra era immenso e tutto vivo: era un mare con navi innumerevoli, e più in là eran terre e porti difesi. E dovunque cannoni; e se le navi del nemico eran dieci volte più numerose, di qua c’eran cuori più saldi, fede più sincera e devozione somma a un capo liberamente scelto.