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La Piazza Lipsia era una piazza simpatica, non ostante il suo brutto nome.
Da un lato c’era, è vero, il gran palazzo delle scuole tedesche; ma le Reali, la scuola di Renato, erano dal lato opposto, in una via stretta, buia, dove il sole non entrava mai: almeno così gli pareva.
Dal lato della piazza invece, dov’era un bel giardino inondato di luce, s’affacciava il Ginnasio che, per quanto tedesco, Renato teneva in gran conto perché vi si studiava il latino. Il dare tanta importanza a questa lingua morta gli pareva da parte di quei tedescacci una confessione indiretta del primato dell’Italia, un omaggio reso, sia pure a denti stretti, alla nostra patria antica e gloriosa.
Poi, dal lato opposto della piazza, c’era un palazzo meno borioso nell’aspetto, ma tanto più bello, in cui si trovavan tre cose stupende e italianissime: il Museo di Storia Naturale, l’Accademia di Nautica e la ricchissima Biblioteca Civica, dove c’era