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venuta senza un avvenimento tragico che un anno prima aveva colpito la famiglia. Sua madre, da anni gravemente malata, presa da un improvviso accesso di pazzìa, s’era uccisa. Il confessore non ebbe il tempo di somministrarle i sacramenti ed insieme al marito ed ai figli raccolse solo un’ultima parola della morente: «Pietà». Diede l’assoluzione.
Ma nell’animo di Marta rimase il dubbio atroce che la mamma fosse morta in peccato mortale, e il sacrificio della sua gioventù e di tutta la sua vita le apparve la più naturale delle espiazioni da offrire al Signore.
Di questo fatto parlarono a lungo i due amici.
Gino pensava con dolore che non avrebbe più veduto la sorella, che doveva abbandonar la città per un convento lontano. Renato, che alla cugina era legato da una fraterna simpatia, pensava con raccapriccio all’inesorabile colpo di forbice che avrebbe tagliato le magnifiche treccie.
— Ebbene — disse a mo’ di conclusione, — la rapiremo.
Questo era appunto il pensiero che Gino ruminava fin da prima.
— Bravo, bene! La rapiremo. Non c’è altro da fare.
— Bisognerà vedere il modo. Che mezzi pensi d’impiegare?
— Secondo le circostanze. Certo ci vorranno delle scale di corda.
— E delle armi, no?