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levatura morale infinitamente superiore a tutte l’altre persone di loro conoscenza e com’egli fosse, insomma, la crisalide d’un grand’uomo. Per cui il constatare una diversità d’idee sulle vie da percorrere, uniti com’erano negli alti scopi, non poteva mai portare a una diminuzione di stima o ad un allentamento de’ loro legami.
Al contrario ciò serviva a conoscersi e quindi a stimarsi di piú; e proprio il bello di tali dispute era questo balzar fuori di certi tratti del carattere, così che nella loro fantasia, sempre avidamente protesa verso il futuro, potevan dar mano a tracciare un primo abbozzo di quelle che sarebbero state un giorno le loro figure.
Quando il tempo era brutto passavano molte ore al caffè; un caffè né austriaco — che ci avrebbero potuto incontrare qualche professore della scuola tedesca di Renato — né liberale — che ci avrebbero sicuramente incontrato qualche parente o conoscente —; un caffè fuori mano e de’ pochi ch’erano senza colore politico.
Che bellezza aver tutta per sé la giornata, fin dalle otto della mattina!
Giungevano puntuali, uno da una porta, l’altro dall’altra. A quell’ora il caffè era quasi deserto e nel silenzio della vasta Sala rimbombava fastidiosamente il rumore di qualche sedia smossa e la voce stentorea del cameriere che ordinava al banco: «due neri per i signori!». Se l’avesse fatto con un po’ di discrezione, in tono più sommesso, gliene sarebbero stati grati.