Pagina:Cantoni - Quasi una fantasia.djvu/19


— 11 —

v’è da fare per migliorarla —; odiosi i compagni nella loro mediocrità grigia, nelle vanterie meschine, proni a terra al menomo cenno d’un grande: era davvero impossibile tirare avanti a soffrir cosí, senza mai concedersi nemmeno un piccolo anticipo su quella meravigliosa messe di libertà che dovevano cogliere un giorno per sé e per il mondo intero.

Incominciarono di quanto in quando a marinare la scuola.

Brutta cosa. Ma chi li aveva spinti a ciò? Proprio quelli che più se ne sarebbero sentiti offesi e traditi se l’avessero saputo: i grandi.

Potevano trascorrere così intere giornate in libertá, andare al caffè, fumare, far piani per l’avvenire, assaporando l’acre gioia dell’inganno teso ai parenti ed ai maestri, ma sopra tutto gustando il divino piacere di stare insieme e di scambiare gli intimi loro pensieri con la certezza d’essere compresi. Spesso pensavano le stesse cose nello stesso momento. E che giubilo nel constatarlo! Si dicevano allora dantescamente: «Io m’intuo e tu t’immii».

Discutevano di svariatissimi argomenti e per lo più si trovavan d’accordo su tutto. Ma accadeva pure che su taluna cosa vi fosse gran divergenza di vedute. Allora la disputa s’accalorava, si agitavano gridando le loro ragioni, rossi in volto; ma cosí, per il piacere di battagliare. Chi li avesse osservati, ne’ loro occhi brillava ancor più viva la fiamma del puro affetto.

Entrambi sapevan bene come l’amico fosse di