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Finora di concreto non v’era stata che qualche scaramuccia con i compagni di scuola, qualche pugno, qualche calcio, qualche ingiuria; deplorevoli intemperanze: la posta era troppo forte e meglio valeva usar di tutta la circospezione per non tradir prematuramente il giuoco terribile che andavan preparando. Occorreva vigilarsi meglio.
Così era stata una sciocca bravata quella di Renato col professore di storia a proposito di Federico Barbarossa. Perché aveva tanto magnificato la battaglia di Legnano? Nel suo racconto, goffo ed impetuoso, tutte le gesta di quell’imperatore si riducevano a minuzie senza importanza e solo aveva dato rilievo all’onta delle barbare distruzioni e allo sterminio che di lui e del suo esercito avevano fatto i gloriosi lombardi, assetati di vendetta «....come tutti i popoli oppressi, sempre e in ogni luogo !»
Il professore aveva finto di non comprendere. Solo gli aveva chiesto con un piccolo sorriso ironico:
— Dove à trovato tutti questi bei racconti? — E senza attendere la risposta: — Vada, vada pure al posto.
In molte altre occasioni i due ragazzi avevan troppo apertamente manifestato il loro sentimento. Vero è che le tentazioni non mancavano.
Il patriottismo aulico dell’Austria era insopportabile. Le feste per il vecchio imperatore si susseguivano in numero eccessivo: genetliaco, un paio almeno di onomastici, l’ascesa al trono, vari giu-