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un ricordo 147


Mio padre prese la sua bimba in collo,
col suo gran pianto ch’era di già roco;
e la baciò, la ribaciò negli occhi
zuppi di già per non so che martoro.
“Non vuoi che vada?„ “No!„ “Perchè non vuoi?„
“No! no!„ “Ti porto tante belle cose!„
“No! no!„ La pose in terra: essa di nuovo
stese alla canna le sue dita rosa,
gli mise l’altro braccio ad un ginocchio:
No! no! papà! no! no! papà! no! no!

Non s’udì che quel pianto e quei singulti
nel tranquillo mattino tutto luce.
Più non raspava i ciottoli con l’unghia
la cavalla, e volgea la testa smunta
alla bimba. E le tortori, hu hu!
Povera bimba! non avea compiuti
due anni, e ancor dormiva nella culla.
Sapea di latte il suo gran pianto lungo:
assomigliava ad un vagir notturno.
Mio padre disse: “Non partirò più„

Jên, a un suo cenno, menò fuor del muro
la cavalla, aspettando ad un altro uscio.
Lontanò essa con un ringhio acuto.
E mio padre baciò la creatura,
e le disse: “Non vado: entro; mi muto,
e sto con te. Perchè tu sia sicura,
prendi la canna„ Rabbrividì tutta
essa, come un uccello quando arruffa
le piume; le spianò; poi con le due
braccia abbracciò la canna di bambù.