Pagina:Canti (Sole).pdf/324


il cantico de' cantici 267

scienzioso artista, anzi che forzare la figura umana ad assumere il rigore e la gelida bianchezza del marmo, sa pure cavare da questo, senza magagnarne la organizzazione primitiva, la flessibile e morbida vitalità che palpita nel modello. Mi son quindi guardato, quanto almanco per me si potea, di aggiunger niente del mio all’originale del Cantico, e d’interporre fra una immagine e l’altra quelle così dette mezze-tinte, reputate dalla più parte de’ suoi traduttori necessarie a rammorbidirne, secondo essi dicono, la soverchia crudezza di contorno intercedente tra figura e figura. Sol dove mi è paruto che certe parole, o certe idee, non hanno fino a noi conservata la stessa efficacia che aveano presso gli Ebrei, io, lasciandole ad ogni modo dove e come stanno, mi son permesso di rinsanguinarle con qualche aggiuntivo, per conferir loro nella traduzione la stessa freschezza, la stessa prominenza che aveano nell’originale. Del resto io ho religiosamente rispettate quella generose e leggiadre sprezzature, que’ repentini e sfolgoranti trapassi così, come li ho trovati nel testo; e sovrattutto non ho perdonato a fatica ed a pazienza per incarnare nel mio volgarizzamento quell’aria indefinita e spirituale, che governa da cima a fondo la Cantica, e che in massima parte proviene dalle speciali condizioni della sua lingua originale.


V


La lingua ebraica è fra le lingue semitiche, o meglio, trilettere, la più breve, la più semplice, la più ar-