campi il sereno e solitario riso, 130né degli augelli mattutini il canto
di primavera, né per colli e piagge
sotto limpido ciel tacita luna
commoverammi il cor; quando mi fia
ogni beltate o di natura o d’arte 135fatta inanime e muta; ogni alto senso,
ogni tenero affetto, ignoto e strano;
del mio solo conforto allor mendico,
altri studi men dolci, in ch’io riponga
l’ingrato avanzo della ferrea vita, 140eleggerò. L’acerbo vero, i ciechi
destini investigar delle mortali
e dell’eterne cose; a che prodotta,
a che d’affanni e di miserie carca
l’umana stirpe; a quale ultimo intento 145lei spinga il fato e la natura; a cui
tanto nostro dolor diletti o giovi;
con quali ordini e leggi, a che si volva
questo arcano universo; il qual di lode
colmano i saggi, io d’ammirar son pago.
150In questo specolar gli ozi traendo
verrò: ché, conosciuto, ancor che tristo,
ha suoi diletti il vero. E se del vero
ragionando talor, fieno alle genti
o mal grati i miei detti o non intesi, 155non mi dorrò, ché giá del tutto il vago
desio di gloria antico in me fia spento:
vana diva non pur, ma di Fortuna
e del Fato e d’Amor diva piú cieca.