medicine procaccia, onde quell’una
cui natura apprestò, mal si compensa.
Lui delle vesti e delle chiome il culto
e degli atti e dei passi, e i vani studi 65di cocchi e di cavalli, e le frequenti
sale, e le piazze romorose, e gli orti;
lui giochi e cene e invidiate danze
tengon la notte e il giorno; a lui dal labbro
mai non si parte il riso; ahi! ma nel petto, 70nell’imo petto, grave, salda, immota
come colonna adamantina, siede
noia immortale, incontro a cui non puote
vigor di giovanezza, e non la crolla
dolce parola di rosato labbro, 75e non lo sguardo tenero, tremante,
di due nere pupille, il caro sguardo,
la piú degna del ciel cosa mortale.
Altri, quasi a fuggir vòlto la trista
umana sorte, in cangiar terre e climi 80l’etá spendendo, e mari e poggi errando,
tutto l’orbe trascorre, ogni confine
degli spazi, che all’uom, negl’infiniti
campi del tutto, la natura aperse,
peregrinando aggiunge. Ahi, ahi! s’asside 85su l’alte prue la negra cura, e sotto
ogni clima, ogni ciel, si chiama indarno
felicitá; vive tristezza e regna.
Havvi chi le crudeli opre di Marte
si elegge a passar l’ore, e nel fraterno 90sangue la man tinge per ozio; ed havvi
chi d’altrui danni si conforta e pensa
con far misero altrui far sé men tristo,
sí che nocendo usar procaccia il tempo.