fatto ardito il morir. Morrò contento 95del mio destino omai, né piú mi dolgo
ch’aprii le luci al dí. Non vissi indarno,
poscia che quella bocca alla mia bocca
premer fu dato. Anzi felice estimo
la sorte mia. Due cose belle ha il mondo: 100amore e morte. All’una il ciel mi guida
in sul fior dell’etá; nell’altro, assai
fortunato mi tengo. Ah! se una volta,
solo una volta il lungo amor quieto
e pago avessi tu, fôra la terra 105fatta quindi per sempre un paradiso
ai cangiati occhi miei. Fin la vecchiezza,
l’abborrita vecchiezza, avrei sofferto
con riposato cor: ché a sostentarla
bastato sempre il rimembrar sarebbe 110d’un solo istante, e il dir: — Felice io fui
sovra tutti i felici. — Ahi! ma cotanto
esser beato non consente il cielo
a natura terrena. Amar tant’oltre
non è dato con gioia. E ben per patto 115in poter del carnefice ai flagelli,
alle ruote, alle faci ito volando
sarei dalle tue braccia; e ben disceso
nel paventato sempiterno scempio.
O Elvira, Elvira, oh lui felice, oh sovra 120gl’immortali beato, a cui tu schiuda
il sorriso d’amor! felice appresso
chi per te sparga con la vita il sangue!
Lice, lice al mortal, non è giá sogno
come stimai gran tempo, ahi! lice in terra 125provar felicitá. Ciò seppi il giorno
che fiso io ti mirai. Ben per mia morte
questo m’accadde. E non però quel giorno
con certo cor giammai, fra tante ambasce,
quel fiero giorno biasimar sostenni.