E tu dall’etra infesto e dal mugghiante
sui nubiferi gioghi equoreo flutto
scampi l’iniquo germe, o tu, cui prima 60dall’aer cieco e da’ natanti poggi
segno arrecò d’instaurata spene
la candida colomba, e, delle antiche
nubi l’occiduo sol naufrago uscendo,
l’atro polo di vaga iri dipinse. 65Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi
studi rinnova e le seguaci ambasce
la riparata gente. Agl’inaccessi
regni del mar vendicatore illude
profana destra, e la sciagura e il pianto 70a nòvi liti e nòve stelle insegna.
Or te, padre de’ pii, te giusto e forte,
e di tuo seme i generosi alunni
medita il petto mio. Dirò siccome
sedente, oscuro, in sul meriggio all’ombre 75del riposato albergo, appo le molli
rive del gregge tuo nutrici e sedi,
te de’ celesti peregrini occulte
beâr l’eteree menti; e quale, o figlio
della saggia Rebecca, in su la sera, 80presso al rustico pozzo e nella dolce
di pastori e di lieti ozi frequente
aranitica valle, amor ti punse
della vezzosa Labanide; invitto
amor, ch’a lunghi esigli e lunghi affanni 85e di servaggio all’odiata soma
volenteroso il prode animo addisse.
Fu certo, fu (né d’error vano e d’ombra
l’aonio canto e della fama il grido
pasce l’avida plebe) amica un tempo 90al sangue nostro e dilettosa e cara