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iii. ad angelo mai 19


     O Torquato, o Torquato, a noi l’eccelsa
tua mente allora, il pianto
a te, non altro, preparava il cielo.
O misero Torquato! il dolce canto
125non valse a consolarti o a sciôrre il gelo
onde l’alma t’avean, ch’era sí calda,
cinta l’odio e l’immondo
livor privato e de’ tiranni. Amore,
amor, di nostra vita ultimo inganno,
130t’abbandonava. Ombra reale e salda
ti parve il nulla, e il mondo
inabitata piaggia. Al tardo onore4
non sorser gli occhi tuoi; mercé, non danno,
l’ora estrema ti fu. Morte domanda
135chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.

     Torna torna fra noi, sorgi dal muto
e sconsolato avello,
se d’angoscia sei vago, o miserando
esemplo di sciagura. Assai da quello,
140che ti parve sí mesto e sí nefando,
è peggiorato il viver nostro. O caro,
chi ti compiangeria,
se, fuor che di se stesso, altri non cura?
chi stolto non direbbe il tuo mortale
145affanno anche oggidí, se il grande e il raro
ha nome di follia;
né livor piú, ma ben di lui piú dura
la noncuranza avviene ai sommi? o quale,
se, piú de’ carmi, il computar s’ascolta,
150ti appresterebbe il lauro un’altra volta?

     Da te fino a quest’ora uom non è sorto,
o sventurato ingegno,
pari all’italo nome, altro ch’un solo,
solo di sua codarda etate indegno,