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12 i. canti


     120Perché venimmo a sí perversi tempi?
perché il nascer ne desti, o perché prima
non ne desti il morire,
acerbo fato? onde, a stranieri ed empi
nostra patria vedendo ancella e schiava,
125e da mordace lima
roder la sua virtú, di null’aita
e di nullo conforto
lo spietato dolor, che la stracciava,
ammollir ne fu dato in parte alcuna.
130Ahi! non il sangue nostro e non la vita
avesti, o cara; e morto
io non son per la tua cruda fortuna.
Qui l’ira al cor, qui la pietade abbonda:
pugnò, cadde gran parte anche di noi:
135ma per la moribonda
Italia no; per li tiranni suoi.

     Padre, se non ti sdegni,
mutato sei da quel che fosti in terra.
Morían per le rutene
140squallide piagge, ahi! d’altra morte degni,
gl’itali prodi; e lor fea l’aere e il cielo
e gli uomini e le belve immensa guerra.
Cadeano a squadre a squadre,
semivestiti, maceri e cruenti,
145ed era letto agli egri corpi il gelo.
Allor, quando traean l’ultime pene,
membrando questa desiata madre,
diceano: — Oh non le nubi e non i venti,
ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene,
150o patria nostra. Ecco, da te rimoti,
quando piú bella a noi l’etá sorride,
a tutto il mondo ignoti,
moriam per quella gente che t’uccide. —