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appendice | 205 |
eziandio nel terzo senza il segnacaso. Ora, lasciando a parte i latini, i quali dicono «iuvare» in questo medesimo sentimento col caso quarto; e lasciando altresí che «giovare», quando suona il contrario di «nuocere», non rifiuta il detto caso, come puoi vedere nello stesso Vocabolario, e che l’accidente di ricevere quell’altra significazione traslata, o comunque si debba chiamare, non cambia la regola d’esso verbo; dirò solamente questo, che in uno dei luoghi del Petrarca citati qui dalla Crusca, il verbo «giovare», costruito col quarto caso, non ha la significazione sua propria, sotto la quale è recato il detto luogo nel Vocabolario, ma ben quella appunto di «piacere» o «dilettare», come ti chiarirai, solamente che il verso allegato dalla Crusca si rannodi a quel tanto da cui dipende: «Novo piacer che ne gli umani ingegni Spesse volte si trova, D’amar qual cosa nova Piú folta schiera di sospiri accoglia. Ed io son un di quei che ’l pianger giova». Il Poliziano osa il verbo «giovare» in questa significazione assolutamente, cioè senza caso: «Quanto giova a mirar pender da un’erta Le capre e pascer questo e quel virgulto!»1. E il Rucellai, fra gli altri, adopera nella stessa forma la voce «gradire»: «Quanto gradisce il vederle ir volando Pei lieti paschi e per le tenere erbe!»2. Dice delle api.
- St. IV, v. 8. . . . Me non asperse
- (v. 62) del soave licor l’avara ampolla
- di Giove3.
- (v. 62) del soave licor l’avara ampolla
Vuole intendere di quel vaso pieno di felicitá che Omero4 pone in casa di Giove; se non che Omero dice una botte, e Saffo un’ampolla, ch’è molto meno, come tu vedi: e il perché le piaccia di chiamarlo cosí, domandalo a quelli che sono pratichi di questa vita.