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appendice | 181 |
o «assimigliarsele»; e tanto piú che io trovo «le viscere delle chiocciole terrestri», non «rassomigliantisi», ma «rassomiglianti a quelle de’ lumaconi ignudi terrestri»1, e certi «rettori assomiglianti a’ priori» di Firenze2, e il cielo «assimigliante quasi ad immagine d’arco»3. Oltracciò vedo che le cose alcune volte «risomigliano» e «risimigliano» l’une «all’» altre.
- St. XI, v. 13. Dimmi, né mai rinverdirá quel mirto
- (v. 184) che tu festi sollazzo al nostro male?4.
Io so che a certi, che non sono pedagoghi, non è piaciuto questo «sollazzo»: e tuttavia non me ne pento. Se guardiamo alla chiarezza, ognuno si deve accorgere a prima vista che il «sollazzo» de’ mali non può essere il «trastullo» né il «diporto» né lo «spasso» dei mali; ma è quanto dire il «sollievo», cioè quello che propriamente è significato dalla voce latina «solatium», fatta dagl’italiani «sollazzo». Ora stando che si permetta, anzi spesse volte si richiegga allo scrittore, e massimamente al poeta lirico, la giudiziosa novitá degli usi metaforici delle parole, molto piú mi pare che di quando in quando se gli debba concedere quella novitá che nasce dal restituire alle voci la significazione primitiva e propria loro. Aggiungasi che la nostra lingua, per quello ch’io possa affermare, non ha parola che, oltre a valere quanto la sopraddetta latina, s’accomodi facilmente all’uso de’ poeti; fuori di «conforto», che né anche suona propriamente il medesimo. Perocché «sollievo» e altre tali non sono voci poetiche, e «alleggerimento», «alleviamento», «consolazione» e simili appena si possono adattare in un verso. Fin qui mi basta aver detto a quelli che non sono pedanti e che non si contentarono di quel mio «sollazzo». Ora voltandomi agli stessi pedagoghi, dico loro che «sollazzo» in sentimento di «sollievo», cioè di «solatium», è