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172 | appendice |
III
SECONDA REDAZIONE DELLA DEDICA
DELLA CANZONE AL MAI
Giacomo Leopardi
al conte Leonardo Trissino
Voi per animarmi a scrivere siete solito d’ammonirmi che l’Italia non sará lodata né anco forse nominata nelle storie de’ tempi nostri, se non per conto delle lettere e delle sculture. Ma da un secolo e piú siamo fatti servi e tributari anche nelle lettere, e quanto a loro io non vedo in che pregio o memoria dovremo essere, avendo smarrita la vena d’ogni affetto e d’ogni eloquenza, e lasciataci venir meno la facoltá dell’immaginare e del ritrovare, non ostante che ci fosse propria e speciale, in modo che gli stranieri non dismettono il costume d’attribuircela. Nondimeno restandoci in luogo d’affare quel che i nostri antichi adoperavano in forma di passatempo, non tralasceremo gli studi, quando anche niuna gloria ce ne debba succedere, e non potendo giovare altrui colle azioni, applicheremo l’ingegno a dilettare colle parole. E voi non isdegnerete questi pochi versi ch’io vi mando. Ma ricordatevi che si conviene agli sfortunati di vestire a lutto, e parimente alle nostre canzoni di rassomigliare ai versi funebri. Diceva il Petrarca:
ed io son un di quei che ’l pianger giova.
Io non dirò che il piangere sia natura mia propria, ma necessitá de’ tempi e della fortuna.