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appendice 171

di questo che fu scelto o piú veramente sortito da Simonide. Perocché se l’impresa delle Termopile fa tanta forza a noi che siamo stranieri verso quelli che l’operarono, e con tutto questo non possiamo tener le lagrime a leggerla semplicemente come passasse, e ventitré secoli dopo ch’ell’è seguita; abbiamo a far congettura di quello che la sua ricordanza dovesse potere in un greco, e poeta, e de’ principali, avendo veduto il fatto si può dire cogli occhi propri, andando per le stesse cittá vincitrici d’un esercito molto maggiore di quanti altri si ricorda la storia d’Europa, venendo a parte delle feste, delle maraviglie, del fervore di tutta una eccellentissima nazione, fatta anche piú magnanima della sua natura dalla coscienza della gloria acquistata, e dall’emulazione di tanta virtú dimostrata pur allora dai suoi. Per queste considerazioni, riputando a molta disavventura che le cose scritte da Simonide in quella occorrenza fossero perdute, non ch’io presumessi di riparare a questo danno, ma come per ingannare il desiderio, procurai di rappresentarmi alla mente le disposizioni dell’animo del poeta in quel tempo, e con questo mezzo, salva la disuguaglianza degl’ingegni, tornare a fare la sua canzone; della quale io porto questo parere, che o fosse maravigliosa, o la fama di Simonide fosse vana e gli scritti perissero con poca ingiuria. Voi, signor cavaliere, sentenzierete se questo mio proponimento abbia avuto piú del coraggioso o del temerario; e similmente farete giudizio della seconda canzone, ch’io v’offro insieme coll’altra candidamente e come quello che facendo professione di amare piú che si possa la nostra povera patria, mi tengo per obbligato d’affetto e riverenza particolare ai pochissimi italiani che sopravvivono. E ho tanta confidenza nell’umanitá dell’animo vostro, che quantunque siate per conoscere al primo tratto la povertá del donativo, m’assicuro che lo accetterete in buona parte, e forse anche l’avrete caro, per pochissima o niuna stima che ne convenga fare al vostro giudizio.