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xxxii. palinodia 119


55Ghiande non ciberá certo la terra
però, se fame non la sforza; il duro
ferro non deporrá. Ben molte volte
argento ed òr disprezzerá, contenta
a pólizze di cambio. E giá dal caro
60sangue de’ suoi non asterrá la mano
la generosa stirpe: anzi coverte
fien di stragi l’Europa e l’altra riva
dell’atlantico mar, fresca nutrice
di pura civiltá, sempre che spinga
65contrarie in campo le fraterne schiere
di pepe o di cannella o d’altro aroma
fatal cagione, o di melate canne,
o cagion qual si sia ch’ad auro torni.
Valor vero e virtú, modestia e fede
70e di giustizia amor, sempre in qualunque
pubblico stato, alieni in tutto e lungi
da’ comuni negozi, ovvero in tutto
sfortunati saranno, afflitti e vinti;
perché die’ lor natura, in ogni tempo
75starsene in fondo. Ardir protervo e frode,
con mediocritá, regneran sempre,
a galleggiar sortiti. Imperio e forze,
quanto piú vogli o cumulate o sparse,
abuserá chiunque avralle, e sotto
80qualunque nome. Questa legge in pria
scrisser natura e il fato in adamante;
e co’ fulmini suoi VoltaDavy
lei non cancellerá, non Anglia tutta
con le macchine sue, né con un Gange
85di politici scritti il secol novo.
Sempre il buono in tristezza, il vile in festa
sempre e il ribaldo: incontro all’alme eccelse
in arme tutti congiurati i mondi
fieno in perpetuo: al vero onor seguaci
90calunnia, odio e livor: cibo de’ forti