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discorso proemiale IX

riescire il più delle volte improntato dalla originalità e non attingere le supreme vette dell’arte.

Della spontaneità, e direi quasi del bisogno che lo spinse a creare la maggior parte delle sue liriche, non ci è sola testimonianza l’analisi e lo studio di esse collegato co’ varii momenti della sua vita, ma ci fa fede l’A. stesso (e noi possiamo ben credergli), il quale confessa che senza questa spontanea ispirazione, senza questa specie di sacra frenesia che talvolta lo invadeva, non sarebbe stato capace di scrivere un sol verso; ma che, sopravvenendogli all’improvviso l’estro divino, sotto l’azione di esso egli poneva sulla carta in brevissimo tempo lo sbozzo del canto, dal quale più tardi, mercè un lavoro assiduo e paziente di martello e di lima, doveva uscire bella e finita in tutte le sue parti la statua meravigliosa.1

Non sarà dunque senza frutto, anzi sarà addirittura indispensabile a chi voglia penetrare addentro nell’arte di questo genio sublime, riviverne le emozioni, determinarne il valore coi più ampi e sicuri mezzi di una critica spassionata, la conoscenza di questo procedimento; e in particolare del metodo seguíto dall’A. nella composizione de’ suoi canti e del lavorío veramente straordinario e tutto personale onde li condusse a perfezione.


II.


Per ben conoscere questo metodo, dobbiamo portare anzi tutto il nostro esame sui mss., che per fortuna nel caso nostro sono nella massima parte autografi. Di essi si hanno alcune raccolte principali, cioè la reca

  1. Mette conto riferire qui il sg. passo di una lett. del L., in data 5 marzo ’24 (Epist., I, 278) al cugino G. Melchiorri a Roma, che lo aveva pregato di scrivere dei versi in morte del fratello di un certo sig. Carnevalini: «...avete dovuto credere che io fossi come sono tutti gli altri che fanno versi. Ma sappiate che in questa e in ogni altra cosa io sono molto dissimile e molto inferiore a tutti. E quanto ai versi, l’intendere la mia natura vi potrà servire da ora innanzi per qualunque simile occasione. Io non ho scritto in vita mia se non pochissime e brevi poesie. Nello scriverle non ho mai seguito altro che un’ispirazione (o frenesia), sopraggiungendo la quale, in due minuti io formava il disegno e la distribuzione di tutto il componimento. Fatto questo, soglio sempre aspettare che mi torni un altro momento, e tornandomi (che ordinatamente non succede se non di là a qualche mese), mi pongo allora a comporre, ma con tanta lentezza, che non mi è possibile di terminare una poesia, benchè brevissima, in meno di due o tre settimane. Questo è il mio metodo, e se l’ispirazione non mi nasce da sè, più facilmente uscirebbe acqua da un tronco, che un solo verso dal mio cervello.»