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hanno alcuna religione, o soltanto il timore degli spiriti malefici, altri adorano quegli oggetti che colpiscono la loro immaginazione; essi hanno Dei fetisci, cui domandano la soddisfazione dei proprii desiderii, e che maltrattano e percuotono se non ottengono ciò che vogliono. Un viaggiatore ci racconta che nella Cina il popolino, se dopo aver lungamente pregato le immagini non ottiene ciò che desidera, si rivolta contro gli Dei impotenti e li copre di ingiurie. «Come, cane di uno spirito, essi dicono, ti diamo uno splendido alloggio in un bellissimo tempio, ti adoriamo e dipingiamo bene, e ti offriamo incenso; e tuttavia, malgrado queste cure, sei tanto ingrato da rifiutarci quello che ti domandiamo?» Allora legano l’immagine con corde, l’atterrano e la trascinano per le strade in mezzo al fango ed alle sozzure. Se nel frattempo accade che il loro desiderio sia soddisfatto, allora, con grande cerimonia, rialzano l’idolo, lo lavano, lo ripuliscono, lo rimettono nella sua nicchia e gli domandano scusa di ciò che hanno fatto.

Alcunchè di simile osservasi a Napoli, dove gli abitanti meno colti imprecano a S. Gennaro, se non ottengono una grazia domandata, salvo a riconciliarsi con lui non appena il loro desiderio sia soddisfatto. Le imprecazioni al Santo risultano dai seguenti versi riferiti da Angelo Brofferio.

Santo d’inferno — va ’n fuoco eterno!
Tu lo colore — tieni abbrunzito,
Hai la figura — del babbuino,
Si no spersicchio — figlio malnato
No te n’adduone — che screanzato
Tutti te chiamano — pe sta cetà?
Tu si squamuso — sì brutto muso,
Si sgraziato — si disperato,
Va ’n fuoco eterno — santo d’inferno.