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E che ne avvenne delle tue donne?» gli domandava il missionario. «Io lo ho mangiate» rispose il neofito. Un selvaggio australiano, richiesto da un Europeo, che cosa fosse il bene od il male, rispose: «Bene, è mangiare il proprio nemico; male, è esserne mangiato.» Assai analogamente sentenziava a Baker il re Commor: «Buono vuol dire essere forte.» Un Rongatura (Australe) côlto in furto e domandato da un viaggiatore se non temesse di esserne punito dagli Dei: «Oh! no, disse, quando gli Dei erano in terra facevano altrettanto, e i genitori amano essere imitati dai figli.» Nell’Africa orientale non si capisce che cosa sia il rimorso: il ladro è un uomo rispettabile, l’assassino è un eroe. Nell’Africa australe, presso i Bechuana, quando si vuol prendere un leone di quelli che hanno fame di uomo, gli si mette per esca nella fossa un bambino od una donna vivi, che naturalmente riescono le prime sue vittime. Non si può certamente dire che questi uomini conoscano la massima: «Non fare ad altri ciò che non vuoi che sia fatto a te.»

L’idea del bene, al suo infimo grado, si identifica con quella dell’utile individuale e momentaneo. Ma per poco che la memoria e la riflessione agiscano, l’idea del bene si eleva a quella dell’utile individuale complessivo, e quindi è ritenuta per cattiva un’azione che trae seco delle conseguenze dannose. Negli animati sociali l’idea del bene si allarga ancora, ed abbraccia l’utile della società cui l’individuo appartiene. La moralità, nei primi due gradini, noi la troviamo tanto negli animali che conducono una vita isolata come nell’uomo selvaggio; al terzo gradino